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  "Scuola multietnica, la sfida possibile" da l'AVVENIRE 10 gennaio 2010

inserita il 10/01/2010

 

Da l'Avvenire 10 gennaio 2010
Scuola multietnica, la sfida possibile

Brescia

Iscrizioni centralizzate: un successo già dal 2006

DA BRESCIA LUCIA BELLASPIGA
Non proprio un 'tetto massimo' di alunni stranieri per classe, ma comunque una distribuzione a livello centralizzato, così da razionalizzarne la presenza tra le scuole della provincia... Tutto questo nella provincia di Bre­scia era già realtà ancor prima che il ministro Mariastella Gel­mini fissasse al 30% il livello massimo di studenti immigra­ti per classe: «Il progetto 'Classi di Accoglienza', promosso dall’Ufficio scolastico provinciale di Brescia, è stato studia­to per tre anni, poi nel 2006 è entrato in vigore e oggi fun­ziona a pieno regime, con otto classi di accoglienza che ser­vono nove istituti tecnici, una scuola media e una elemen­tare », spiega Patrizia Capoferri, referente Intercultura per l’Ufficio scolastico bresciano.
Una riforma fai da te, insomma, nata dall’urgenza di dare risposte a un fenomeno in crescita rapidissima: «Siamo la terza provincia, dopo Roma e Milano, per presenza di stra­nieri nelle scuole, una percentuale ancor più significativa se si pensa che la concentrazione di studenti immigrati è no­tevole nell’intera provincia, diversamente da quanto avvie­ne nella capitale e nel capoluogo della Lombardia. Vicino a Brescia, a Calcinato, vive la più alta concentrazione di stra­nieri di tutta Italia». Cittadini ormai stanziali, con un lavo­ro a tempo indeterminato, che hanno scelto di restare e di richiamare in Italia tramite ricongiungimento familiare i lo­ro figli: futuri italiani come i nostri. Ma come hanno risolto un problema tanto vasto nella pro­vincia di Brescia? Mettendo in campo tutte le forze del ter­ritorio (Ufficio scolastico provinciale, ma anche prefettura, questura, Pro­vincia, Comune di Bre­scia, Associazione Comu­ni bresciani, Associazio­ne Scuole autonome bre­sciane) e passando ai fat­ti, «con umiltà e piedi per terra». Che in concreto si­gnifica questo: quando un genitore ottiene il ri­congiungimento familia­re, riceve dallo sportello immigrazione della pre­fettura il nulla osta per l’ingresso dei familiari. «Qui da noi gli viene con­temporaneamente con­segnata, nella sua lingua, la preiscrizione del figlio alla scuola più adatta». La quale è stata individuata dalla prefettura tenendo conto del­l’età e della residenza del minore, oltre che di un’equa di­stribuzione tra stranieri e autoctoni.
Il tutto secondo le norme vigenti, dato che il tetto del 30% previsto ora dalla Gelmini non esisteva ancora, ma il Dpr (Decreto del presidente della Repubblica) 394 del 1999 in­vitava già a non costituire sezioni con 'prevalenza di alun­ni stranieri', proprio per tutelarne l’integrazione. «A tutt’og­gi restiamo l’unica provincia ad aver studiato una distri­buzione centralizzata - precisa Patrizia Capoferri - , anche se il nostro modello col 2010 verrà adottato anche dal Co­mune di Venezia». Altro esperimento in corso riguarda i minori che giungono nel nostro Paese a 15 anni o più: secondo le norme devono essere inseriti nella classe corrispondente all’età anagrafi­ca o al massimo retrocessi di un anno. «Se ci arriva che ha 16 anni, posso quindi inserirlo solo in prima superiore - fa presente l’esperta - , ma dove? In un liceo classico? O nel­l’alberghiero? Solo perché sono i più vicini a casa? Non ha diritto lui, come i suoi coetanei italiani, di scegliersi un fu­turo e avere delle inclinazioni? Che studi avrà fatto nel suo Paese? Insomma, occorre conoscerlo e aiutarlo a inserirsi nella giusta scuola secondaria». Così a Brescia si è pensato a un periodo di 'orientamento informativo' presso una scuola media, dove un docente per un minimo di 15 giorni ne studia le competenze e poi lo avvia alla scelta più adat­ta... Certo, tra il dire e il fare spesso c’è di mezzo più di un o­ceano e qualche continente, e 15 giorni non bastano a su­perare secoli di storie tanto diverse e mentalità antitetiche, ma occorre mettercela tutta e «con l’aiuto dei mediatori cul­turali ci si può intendere». Lo sforzo è grande ma il gioco va­le la candela: «Occorre valorizzare tutti, far sì che ognuno possa dare il suo massimo. E quando dico tutti intendo an­che i nostri studenti italiani, che hanno bisogno di un per­corso equilibrato, non continuamente interrotto, e della giusta attenzione da parte degli insegnanti».
La presenza di alunni stranieri nella scuola italiana «non è certo un problema di razzismo, ma un soprattutto didatti­co. Per questo è necessario pensare a un tetto del 30 per cen­to di studenti immigrati in classe». È quanto spiegato l’al­tro ieri dal ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, presentando la direttiva che impone un limite alla presen­za di ragazzi stranieri in classe. «I nostri istituti – ha assi­curato il ministro - sono pronti ad accogliere tutte le cul­ture e i bambini del mondo. Alla stesso modo la scuola ita­liana deve mantenere con orgoglio le proprie tradizioni e insegnare la cultura del nostro Paese». Una decisione che ha suscitato non poche reazioni. L’Age, Associazione ita­liana genitori, ha auspicato che il tetto del 30 per cento «sia vera integrazione» e non l’espressione «di una mentalità di­fensiva », L’assessore all’istruzione del Comune di Firenze, Rosa Maria Di Giorgi (Pd), ha invece definito la scelta «in­costituzionale ». Ma come funziona concretamente l’inte­grazione dei ragazzi stranieri nelle nostre scuole? In questa pagina esaminiano tre diversi casi.
Emblematici della varietà e della problematicità del panorama nazionale.
In una delle zone più esposte all’immigrazione, all’atto del ricongiungimento familiare si riceve già la preiscrizione alla scuola più adatta. Così si razionalizzano le presenze e si tutelano i minori.
Anche quelli italiani

 

 

 

 

 

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